NUOVE MANSIONI
Gli elementi presuntivi del danno da dequalificazione,
GUIDO CANESTRI

Una differenziazione netta delle nuove mansioni assegnate al lavoratore rispetto alle precedenti e la durata di tale particolare situazione possono costituire elementi presuntivi del danno da demansionamento. E’ quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 18813 del 9 luglio 2008. Un dipendente di Telecom Italia, inquadrato al quinto livello del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto, è stato destinato nel '94 a ricoprire delle mansioni inferiori, proprie del quarto livello. Nel 2001 egli ha chiesto al tribunale di accertare la dequalificazione da lui subìta e allo stesso tempo di condannare l'azienda a restituirgli le mansioni precedentemente svolte, nonchè al risarcimento del danno. La società di telecomunicazioni si è difesa sostenendo l'inesistenza della dequalificazione e l' assenza di prova del danno. Il tribunale ha condannato l'azienda ad assegnare il lavoratore alle mansioni richieste, nonche al risarcimento del danno subìto, determinato equitativamente in una somma pari a un terzo della retribuzione globale netta relativa a tutto il periodo del demansionamento.

Questa decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d' appello, che ha confermato l'accertamento della dequalificazione, ma ha pure escluso il diritto del lavoratore al risarcimento per carenza di prova. Chiamata in causa, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del dipendente della Telecom avverso il diniego del risarcimento. Il danno derivante da dequalificazione, ha affermato la Suprema Corte, può assumere diversa natura, potendosi esso tradurre in un impoverimento della capacità lavorativa acquisita dal lavoratore e dal mancato raggiungimento di una sua più elevata capacità, o nel pregiudizio derivante dalla perdita di chance (cioè dalla perdita di possibilità di maggiori guadagni), o ancora potendosi concretizzare nella lesione della propria integrità psico- fisica, o più in generale in una grave lesione alla salute, ovvero alla vita di relazione, cui è certamente riconducibile la fattispecie del danno esistenziale, derivante dalla lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della propria personalità nell'ambito del luogo dilavoro (articoli 1 e 2 della Costituzione).

La molteplicità degli indicati possibili pregiudizi spiega la necessità che il lavoratore indichi in maniera specifica il tipo di danno che assume di aversubito e poi fornisca la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti;prova che può essere fornita anche ex articolo 2729 del codice civile attraverso pre-sunzioni gravi, precise e concordanti, sicche a tal fine possono essere valutate nelcaso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi presuntivi, la qualità equantità dell'attività svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversae nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione. Resta in ognicaso affidato al giudice di merito il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, dopo l' individuazione appunto della specie, e determinandone l' ammontare, eventualmente con liquidazione equitativa La sentenza impugnata, ha affermato la Corte,non aveva tenuto conto di tali principi, inquanto non aveva considerato la presenza di elementi probatori presuntivi, quali la durata del demansionamento e la netta differenziazione delle mansioni spettanti e quelle assegnate dall'azienda.

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Ultima modifica 29.11.2008




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